venerdì 30 settembre 2011

La provincia


Questo è un post dedicato. Lo devo agli amici di una vita e non solo. Permalosi come pochi, burberi come solo gli umbri sanno essere. A modo loro si sono "risentiti" per un paio di considerazioni fatte sulla provincia su questo blog.

Lou Reed dice che quando sei nato in un piccolo paese c'è soltanto una cosa che puoi fare... andartene.
Io sono nato in un piccolo paese, ho passato 18 anni della mia vita a cercare un modo per andarmene, altri 18 a cercare un modo per non tornare. Forse perché quello che non puoi avere ti attrae come una calamita, forse per la curiosità quasi morbosa di scoprire posti nuovi, forse per la voglia di conoscere gente diversa. Fatto sta che più o meno da 20 anni sto in giro. Ma il paesello me lo porto sempre dietro e me lo tengo stretto. A proposito, per i “non addetti ai lavori”, il paesello si chiama Umbertide: 15mila abitanti stretti tra il Tevere e le colline a nord di Perugia, non lontano dalla Toscana. A molti che non lo conoscono il nome suona come quello di una medicina ("Infermiera, presto! Faccia al paziente 100mlg di Umbertide per endovena"), altri pensano ad un parco di divertimenti ("Umbertide, diecimila metri quadrati di giochi e attrazioni immersi nella verde Umbria”). Per me chi ci sono nato e cresciuto Umbertide è molte cose, piccole e grandi. E’ la mia terra, ci sono i miei affetti, è un amarcord di storie e personaggi.
Umbertide è le 8 pinte al pub Rosa Luxemburg con un amico che ora non c’è più e mi manca davvero tanto. La Renault 4 impantanata lungo il Tevere alle 4 del mattino. Le partite del Perugia allo stadio con mio padre. I vestiti di carnevale che mi faceva mia madre. Il ciccicocco. Il bagno alle cascatelle e nella diga di Civitella l’estate, perché il mare in Umbria non c’è. L’oca in porchetta, le salsicce grigliate, la torta al testo, le pannocchie rubate al contadino e cotte in mezzo al campo con i miei amici (li conto sulle dita di due mani ma quelle mani me la farei tagliare pur di non perderli). Le tagliatelle, il pollo arrosto e il dolce al mascarpone che mia Nonna cucinava per me e i miei cugini ogni domenica. Il "tuffo" nel vascone del mosto di mio Nonno. Le partite a pallone nel campetto dietro casa dalle 2 del pomeriggio alle 8 della sera. La nostra meravigliosa toponomastica (cit): Piazza Carlo Marx, Via Juri Gargarin, Via Primo Maggio. Le macchiette da bar come Trivilino, Gattamara, Arduino e Didonzo. Il pettegolezzo e l’invidia ma anche il sostegno e la solidarietà che solo le piccole comunità sanno dare.

La lista è lunga e magari con il tempo la completerò. Nomi, aneddoti, situazioni per dire che Umbertide mi manca, mi è sempre mancata. Mi manca la mia famiglia, mi mancano i miei amici. Oggi torno sempre di meno, di certo non quanto vorrei. Ma ogni volta che sulla E-45 vedo quel cartello blu e bianco qualcosa dentro si muove, mi sento bene e penso che, in fondo, non me ne sono mai andato.

2 commenti:

  1. le pannocchie rubate, l'oca arrosto, la R4, la torta al testo:)
    Io ricordo sempre, indelebile, un ferragosto a Gubbio, il ritorno. Non ricordo che anno fosse ma tutto il resto si. Fantastico!
    f.g.

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  2. Perché io voto per la provincia: il punk.

    La provincia parla sottovoce. Tutto è normale. La vita va avanti così da secoli. Le madri richiamano i bambini alla sera e, appena dietro l'angolo, un pescatore torna in bicicletta verso casa.
    In tempo di pace funziona così, ma non quando il vento muore, il cielo si rannuvola e l'aria diventa appiccicosa. All'improvviso minaccia pioggia. Chi l'avrebbe mai detto, stamattina?
    In provincia il sole ha un modo tutto suo di cadere. Chi sta in città questo non lo sa, ma il sole va giù in un istante, è così che fa in provincia.
    E' una ribellione improvvisa, tutte le forze del cielo si danno convegno, sanno che il palcoscenico è tutto per loro e che la gente, da quaggiù, non farà che parlare dello spettacolo che di certo sarà movimentato e colorato.
    C'è ribellione e ribellione. C'è quella annunciata, con tanto di compasso e righello sopra la mappa 1/25.000, e quella inattesa, incontro causale di spiriti vagabondi, attori senza copione e senza sceneggiatura.
    La ribellione della provincia è violenta, nessuno se l'aspettava. Gli attori non conoscono il senso del limite (e come possono?), tendono a strafare. La ribellione della provincia fa storia, rimane nel ricordo delle persone.
    Basta una cresta arancione a fare storia. La vedo passare sopra le teste delle persone raccolte al comizio in piazza. Io me la ricordo.
    Dio ti benedica. Non avevo capito quanto eri ribelle, cresta arancione. La P38 e le alfette bianche bucherellate dai colpi erano uno brutto tentativo di imitare quello che eri tu, la tua libertà.
    Ti sarò sempre grato, cresta arancione. E sarò sempre grato a chi ha scritto “I'm so bored with the USA” sul muro dell'essiccatoio del tabacco, vicino al campetto da calcio, e anche “Via le bombe atomiche dall'Italia”, sul ponte che corre sopra il fiume. Gesti come questi racchiudono un mondo.
    Essere ribelle in provincia è scelta di pochi. Il ribelle offre il petto al nemico; non c'è tattica, solo coraggio. Sa che la sua battaglia è persa, che il nemico accuserà il colpo e che si riavrà presto. Sa anche che non può sottrarsi all'impegno preso.
    Una sola cresta arancione tra mille persone.
    Il ribelle della provincia è un eroe in disparte, è il vento che cade, il cielo che si rannuvola, l'aria che diventa appiccicosa.
    Io amo la provincia per questo, perché - quando decide di farlo - offre alla storia i combattenti migliori e più coraggiosi. Combattenti splendidi.

    Riccardino
    (con qualche libertà sulla cronologia degli avvenimenti)

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